Sugli autori e sullo scrivere libri nel 2020
È vero, lo so benissimo: oggi sembra che tutti scrivano libri.
Facebook è pieno di annunci sponsorizzati di mirabolanti tecniche di marketing che puoi apprendere solo da un libro. O magici ebook di 10 pagine fatti passare per il Santo Graal. Che ovviamente ti fanno diventare ricco.
Come in ogni trend che si rispetti, c’è del buono e del cattivo.
Ma il “cattivo” (startupper dell’ultima ora che credono di sbancare vendendo un ebook sull’informarketing, ad esempio) non deve gettare ombra su una considerazione importante.
L’autopublishing e la risonanza che oggi sta avendo la scrittura di libri di ogni genere può che solamente fare del bene
E fa del bene perché condividendo (pensieri o competenze), si accresce la conoscenza. Propria, ma anche altrui. La conoscenza del mondo.
Scrolliamoci di dosso quella pomposità che fino a qualche anno fa relegava gli “autori” ad un rango superiore, un po’ come accade nel mondo del lavoro con i medici e gli avvocati. Oggi molti hanno qualcosa da dire, e se non si tratta di divulgazione, almeno si tratta di condivisione di pensiero. Complesso o semplice che sia, se ragionato e condiviso non può far altro che generare interesse e discussione.
Nulla di nuovo, la storia si ripete. Cambia solo la forma.
Una volta erano tantissimi gli scrittori o aspiranti tali che pubblicavano i loro scritti (narrativa, saggi o teorie filosofiche) nell’appendice dei quotidiani, nei periodici di genere o li distribuivano nei tantissimi circoli intellettuali aperti ai più.
Fisici o per corrispondenza che fossero, esistevano questi pool di menti che condividevano idee, pensieri e teorie fra loro. Insomma, i tipci salotti culturali alla Madame de Staël.
Una volta questa condivisione “fisica” poteva essere portata avanti con la sola distribuzione di giornali e libretti. Non c’era un mezzo altrettanto democratico (una volta erano molti gli autori squattrinati che si autopubblicavano – solo oggi pare essere un mestiere vagamente remunerativo).
Oggi invece la situazione è decisamente diversa e un mezzo altamente, forse per certi versi anche troppo democratico, esiste. Si chiama internet.
Dai libretti ai byte
Così le vecchie appendici dei quotidiani e le raccolte di scritti sono diventate forum, blog e siti di ogni genere e inclinazione.
Internet ha dunque democratizzato e reso quasi alla portata di chiunque la diffusione delle proprie idee, pensieri e perché no, passioni (in fondo anche i temi di diversi romanzi del passato erano frutto di un’ardente passione, sia di ispirazione della storia in sé sia della scrittura in sé).
Ma questa rivoluzione copernicana dovrebbe automaticamente far recedere l’importanza della scrittura su carta, della pubblicazione?
Credo fermamente di no.
Il vecchio credo che con l’avvento di internet la carta stampata morirà è una scemenza.
Perché con le evoluzioni ciò che c’era prima si trasforma, non scompare.
Fu così con i cavalli e le carrozze, che oggi sono relegati allo svago e al turismo; fu così con la pittura che oggi è più arte e meno espressione di una società e di uno zeitgeist; ed è così con la carta stampata, che da mezzo informativo sta diventando mezzo divulgativo e di intrattenimento.
Ovviamente scrivere un libro, che sia autopubblicato o edito da una piccola casa editrice, non è cosa da poco conto. L’autore deve spendere energie, tempo e soldi.
Dunque, togliendo da questo gruppo tutti coloro che si gettano in questa avventura per semplice profitto (ma come è sempre stato fin dagli albori delle case editrici e dei “committenti di storie”), ovvero quelli delle pubblicità su Facebook e delle miniere d’oro digitali, ciò che resta – a causa dell’investimento descritto poco sopra – non può essere del materiale di bassa qualità.
Tradotto: se non lo fai per soldi, lo fai per passione o per ispirazione (che poi è la stessa cosa). E se lo fai per passione, è matematicamente impossibile creare del materiale di bassa qualità. Beninteso, qualità non si intende – solo – correttezza delle norme di scrittura (dubito che i grandi scrittori siano andati a scuola di scrittura, ma hanno perfezionato di opera in opera, come i grandi pittori). No, per qualità si intende profondità del materiale, cura nei particolari (stilistici e concettuali), fuoco nelle parole ed energia nelle frasi. La superficialità viene subito scovata da chi ha il fuoco della passione dentro.
Dunque facciamo un passo indietro: se oggi pubblicare è ancora più semplice, e chi pubblica è della specie che abbiamo analizzato sopra, allora non ne beneficiamo tutti?
Internet ha finalmente messo fine al folle monopolio decisionale delle case editrici e allo stesso tempo ha finalmente dato voce ha chi di qualità ne ha ma non aveva i mezzi. Chiaramente, dall’altro canto Il Grande Democratico (internet) ha anche dato la possibilità e i mezzi a chi la qualità non ce l’ha, o non intende mettere questa al primo posto. Ma la vuole sfruttare come mezzo per arrivare ad altro.
È qui, a mio personale parere, la grande crepa dell’autopubblicazione
La discrepanza tra chi vuole offrire (attenzione, dico offrire, non vendere) un pensiero di qualità, e chi invece vuole vendere. Vendere e punto, ma sfruttando la qualità (apparente) per ottenere il suo scopo.
Dunque, scrivere un libro oggi dovrebbe essere prima di tutto un grande atto di altruismo.
Ma la cosa bella di questo grande (e faticoso) atto di altruismo è che mettendolo in atto gli autori stessi ne ricavano qualcosa. Una sorta di egoismo da serendipità, un egoismo altruistico. Non sto parlando dei soldi, che semmai sono una conseguenza.
Sto parlando prima di tutto del sentimento di gratificazione che si prova nell’aver condiviso qualcosa che l’autore sa di essere buono. Un racconto, una teoria, una spiegazione, un punto di vista…
Credo che la scrittura sia uno degli atti di comunicazione più “altruistici” e forti che ci siano.
L’autore è un creatore, che si tratti di una storia o di un pensiero filosofico, che si tratti di un racconto di maghi e vampiri o che si tratti di una dissertazione sull’esistenzialismo di Nietzsche. In tutti i casi è in atto un movimento creatore, e già solo per questa considerazione dovremmo portare rispetto alla penna (oggi dovremmo dire tastiera) che l’ha generato.
Salvo ovviamente i venditori di infoprodotti, su quelli prima ci rifletterei un pochino.
Quindi se si tratta di un atto di altruismo in cui c’è davvero della qualità, perché questo pensiero, questo concetto, non dovrebbe essere messo su “carta” (leggi Word), stampato e regalato (nel senso letterale e figurato del termine) all’umanità?
Se un imprenditore ha alle spalle una storia straordinaria, se ha dentro di sé il germe della qualità, perché non dovrebbe scrivere un suo libro in cui riversa il suo concetto di successo, di impresa, di “fare”? Che siano 50, 100 o 1000 pagine, che sia autopubblicato o spedito nelle librerie di tutta Italia, che sia una storia o un saggio, perché non dovrebbe essere condiviso e promosso? La qualità vera non dovrebbe forse essere resa pubblica?
Se il libro è capace di ispirare altri a fare o dare il meglio di sé, o se semplicemente quel libro e bello punto e basta, perché non dovrebbe essere degno di uno scaffale di una libreria?
Hai un’azienda che ha successo? Scrivi un libro in cui ne racconti la storia. Ispirerai altri a fare altrettanto.
Hai un’idea su come migliorare un processo o un prodotto? Hai fatto una tesi di laurea su questo? Scrivi un libro in cui lo racconti. Potresti dare nuovo impulso ad imprese o attività.
Sei uno sportivo che dopo anni di vittorie sta allenando una squadra e hai visto crescere delle stelle? Scrivi un libro e ispira altri atleti. Quei ragazzi ti ringrazieranno.
Sei un sognatore ad occhi aperti? Metti i tuoi sogni nero su bianco, senza paura. Poesia o prosa non fa differenza, condividi il tuo sogno. Permetterai ad altri di sognare con te.
Non credete che tutto questo sia semplicemente fantastico?
Date spazio alla vostra mente e alla vostra passione.
Non abbiate paura del confronto o di sbagliare.
Ci sono ancora molte storie e pensieri degni di essere raccontati. Basta sedersi al computer e aprire la propria mente all’infinto.